“CHIUSO” per Covid-19: quali conseguenze per l’economia italiana?

 

Come da copione la prima risposta è arrivata dai mercati finanziari, con repentini crolli delle quotazioni dei mercati azionari e obbligazionari. Ulteriori contrazioni dei prezzi potranno chiaramente susseguirsi fin tanto che non si vedrà la cosiddetta “luce in fondo al tunnel”.

In Italia, dopo poche settimane dall’adozione delle prime misure finalizzate al contenimento del contagio, quali ad esempio i provvedimenti di chiusura di attività ritenute “non essenziali”, risulta arduo fornire stime sugli effetti economici e finanziari di questa crisi. La complessità nel fornire una risposta è spiegata dalle differenti variabili in gioco, di difficile quantificazione.

Ne cito alcune:

  1. tempi di uscita dalla crisi sanitaria a livello nazionale per valutare un alleggerimento delle misure di lockdown adottate (se un’uscita anticipata rischierebbe di vanificare gli sforzi condotti fino ad oggi, ogni allungamento “non giustificato” dei tempi di lockdown amplificherebbe i danni collaterali al tessuto economico e sociale);
  2. correlazione tra l’estensione temporale delle misure di lockdown e i casi di insolvenza delle imprese, l’incremento del tasso di disoccupazione, la perdita di competitività a livello internazionale, l’aumento del debito pubblico, etc.;
  3. tempi di recupero della produttività e delle quote di mercato perdute (e successivamente dei livelli occupazionali) una volta che si potrà tornare alla normalità;
  4. conseguenze ed effetti dell’inevitabile incremento del debito pubblico in termini di sostenibilità negli anni a venire.

Con riferimento alla prima variabile, non essendoci elementi sufficienti per fornire una stima dei tempi di uscita dalla crisi epidemiologica, si possono fare delle supposizioni più o meno ottimistiche.

Basandosi sui dati ISTAT relativi all’anno scorso, il consiglio nazionale dei commercialisti ha evidenziato che le attività economiche, di cui è stata disposta la chiusura per fronteggiare il famigerato Covid-19, avevano contributo alla formazione di oltre un terzo del PIL 2019 (615 miliardi di euro su 1.787), mentre le attività per le quali è stata disposta una chiusura parziale avevano contribuito per oltre il 23% (418 miliardi di euro).

Se dovessimo, quindi, ipotizzare (ottimisticamente) tre mesi di lockdown, potremmo desumere una contrazione del PIL di circa il 15%. In parte la spesa governativa potrà alleviare, previo l’inevitabile innalzamento del debito pubblico, tale contrazione del PIL di 2 o 3 punti percentuali (immaginando interventi “limitati” a 50 miliardi di euro).

Elaborazioni e stime Centro Studi Confindustria su dati Istat

Volendo immaginare nel 2020 un PIL italiano pari a 1.600 miliardi di euro, a seguito di una contrazione del 10% rispetto al 2019, e un debito pubblico salito a 2.550 miliardi di euro (tra interessi sul debito e “deficit da Coronavirus”), l’Italia si ritroverebbe con un rapporto Debito/PIL intorno al 160%, con un tasso di disoccupazione sensibilmente più elevato, una capacità produttiva ridotta e una minore competitività sui mercati internazionali. In termini di PIL il calo delle esportazioni potrà in parte essere compensato da un calo delle importazioni, se non altro per la caduta del prezzo del petrolio, oltre che della domanda interna.

La comunità scientifica internazionale è alacremente al lavoro per cercare sia soluzioni a breve che possano permettere un lento ma graduale ritorno alla normalità, sia soluzioni che possano portare a debellare il Covid-19.

Quando, finalmente, ci si potrà lasciare alle spalle questa emergenza sanitaria, grazie all’identificazione e all’impiego di cure efficaci contro il Covid-19, in attesa dei lunghi tempi (12-18 mesi?) di disponibilità di un vaccino, inizierà un’altra sfida; occorrerà infatti affrontare un’emergenza economica, finanziaria e sociale altrettanto significativa che, purtroppo, potrebbe durare molti anni e segnare il destino di intere generazioni.

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