I consigli per il consulente.
Ammettiamolo, ogni consulente è chiamato spesso a confrontarsi con i propri clienti su questioni delicate o spinose, che possono riguardare aspetti relativi a liti e controversie in fase di separazione, come ad esempio la determinazione dell’assegno di mantenimento. Pur (e sempre) nel rispetto delle figure legali di riferimento che si occupano direttamente, e pro-domo del cliente, di questo tipo di vicende, è opportuno che al consulente siano noti gli elementi essenziali di situazioni di questo genere.
Ad esempio, non è così inusuale che il cliente economicamente più forte si trovi di fronte alla scelta di attuare delle autentiche “strategie difensive”, in prossimità di una separazione dal coniuge presumibilmente debole. E ciò con l’evidente e speranzoso obiettivo di arginare quanto più possibile il quantum del presunto assegno di mantenimento determinabile a favore di quest’ultimo.
Allorché nel giudizio di separazione sia stato stabilito che il coniuge economicamente più debole abbia diritto ad un contributo per il suo mantenimento, il giudice deve quantificarne in concreto l’ammontare sulla base di due criteri:
- i redditi del coniuge obbligato
- “altre circostanze”, vale a dire elementi di ordine economico diversi dal reddito, come ad esempio visure inerenti alle proprietà immobiliari, l’indicazione di beni mobili (quali azioni, obbligazioni, buoni postali, estratti dei conti correnti ecc.), visure camerali relative a ditte o a società ecc…
La decisione dei giudici
Ebbene, presta attenzione perché la Cassazione civile del 26 febbraio 2020, n. 5279, fa qualcosa in più: utilizza una presunzione semplice per desumere un maggior reddito del coniuge economicamente più forte. In particolare, afferma che: “…ai fini della determinazione dell’assegno di mantenimento dovuto da un coniuge all’altro a seguito della separazione personale, il reddito dell’obbligato può essere desunto anche da presunzioni semplici, purché basati su elementi indiziari gravi, precisi e concordanti”.
In questa causa, il Tribunale – in prima battuta – determinava l’ammontare dell’assegno a carico del marito in 300,00 € mensili per ognuno dei tre figli della coppia e in 200,00 € mensili per la moglie.
La Corte d’Appello (con una sentenza confermata successivamente dalla Cassazione) valorizzava, tuttavia, altri elementi dai quali riteneva di poter desumere che il marito percepisse un reddito maggiore di quello dichiarato. A seguito di questo, rideterminava la misura del mantenimento, quantificandolo in 600,00 € mensili per ognuno dei figli e 800,00 € mensili per la moglie.
Strategie opinabili
In buona sostanza, il marito – socio al 50% di una s.r.l. al pari con la sorella – aveva posto in essere delle strategie non efficaci e che, anzi, si sono rivelate controproducenti. In particolare, la società in questione con una delibera (particolarmente vicina alla separazione dei coniugi) aveva ridotto gli emolumenti riconosciuti ai membri dell’organo amministrativo (di cui lui faceva parte).
Questa delibera societaria è stata considerata una scelta riconducibile al marito, con presumibile assenza di opposizione da parte della sorella, oltretutto in considerazione del fatto che l’asserita crisi del settore in cui operava la società non trovasse riscontro nei bilanci d’esercizio, che anzi ne evidenziavano un utile, sebbene progressivamente inferiore.
Oltre a questo, va detto che il marito non aveva prodotto i propri estratti-conto bancari successivi alla delibera stessa e che non è stato in grado di comprovare un effettivo decremento reddituale.
Insomma, una serie di semplici sfavorevoli presunzioni che, nel caso di specie, sono costate molto care al diretto interessato.